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Regione, Patto per il lavoro: Quattro anni di politiche condivise per far ripartire l’Emilia-Romagna

Aumentare il valore aggiunto delle produzioni, dei servizi alle imprese e, soprattutto, di quelli alla comunità, con un obiettivo prioritario: aumentare l’occupazione di qualità. Era questa, in estrema sintesi, la strategia delineata e condivisa nel 2015 da tutte le parti sociali, le categorie economiche, gli atenei, le associazioni e il mondo del volontariato per generare un nuovo sviluppo e una nuova coesione sociale in Emilia-Romagna.

Dal 2014 al 2018, il valore aggiunto dell’Emilia-Romagna – ovvero la qualità di ciò che si produce in Emilia- Romagna, qualità frutto non solo dell’innovazione tecnologica ma anche della creatività e delle competenze delle persone – è cresciuto del 5,5%, più della media nazionale (+4,5%), l’occupazione ha superato la soglia di 2 milioni di occupati, 94 mila in più rispetto alla media del 2014 (+4,9%), con la disoccupazione media degli ultimi mesi scesa al 5,8%, dal 9% di inizio legislatura, la quota di NEET, i giovani che non studiano né lavorano che segna un -4%, la riduzione degli abbandoni scolastici prematuri di un altro 2% e il tasso di scolarizzazione superiore che sale all’85% (+3,5%).

Un rilancio dell’economia e dell’occupazione, oltre che un rafforzamento del sistema formativo e di protezione sociale, ottenuto grazie agli sforzi e alle capacità delle persone, delle imprese e delle istituzioni di questo territorio e ad una programmazione regionale che ha messo a disposizione di questi obiettivi 22,3 miliardi nel 2019. Oltre 7 miliardi di euro in più rispetto ai 15 preventivati quattro anni fa.

È quanto emerge dall’ultimo monitoraggio del Patto per il lavoro, condiviso questa mattina in Regione con le parti sociali, a quattro anni dalla firma dell’intesa, il 20 luglio 2015: le risorse complessive passano dai 19,6 miliardi di euro del 2018 ai 22,3 miliardi del 2019. Di questi, 19,5 miliardi sono già stati mobilitati (i restanti 2,5 riguardano invece interventi già programmati il cui avvio è previsto entro i prossimi mesi). Cifre sensibilmente superiori rispetto ai 15 miliardi inizialmente stimati alla sottoscrizione del Patto. Quasi 7,5 miliardi in più: ulteriori risorse nazionali, europee e regionali che la Giunta regionale ha scelto i questi anni di investire per rafforzare le proprie politiche per il rilancio dell’economia e della buona occupazione.

In questi anni, insieme, qui abbiamo attuato una vera e propria politica industriale, fortemente anticiclica, grazie ai massicci investimenti pubblici attivati nei territori, e fortemente orientata all’innovazione, anche nel rafforzamento del welfare e del nostro sistema sanitario regionale- afferma il presidente della Regione, Stefano Bonaccini-. Ribadisco il fatto che il lavoro non si crea per decreto: qui abbiamoinnalzato conoscenze e competenze delle persone per fare del fattore umanoil vero motore della crescita della nostra società E alla base di tutto c’è stata, e c’è tuttora, la concertazione con le parti sociali, la condivisione con l’intera società regionale di un modello di crescita e sviluppo che adesso vogliamo orientare con più forza verso la sostenibilità e i temi ambientali, forti anche delle infrastrutture digitali e sui Big Data che fanno dell’Emilia-Romagna la Data Valley europea.

Così come insieme alle parti sociali vogliamo allargare il perimetro dei diritti, per includere i troppi che ancora oggi sono alle prese con condizioni salariali inaccettabili e precariato, oltre al tema della sicurezza nei luoghi di lavoro. Non c’è dubbio- chiude Bonaccini– che il Patto per il lavoro dell’Emilia-Romagna possa rappresentare una proposta politica per l’intero Paese.

I dati di quanto realizzato in questi quattro anni dimostrano come un sistema coeso sia in grado di crescere, anche in un Paese che non cresce. In Emilia-Romagna abbiamo aumentato il valore aggiunto e quindi l’occupazione di qualità. Abbiamo fatto bene a seguire questo metodo di condivisione e a lavorare insieme per elaborare una visione di lungo periodo,

 

ha sottolineato l’assessore regionale al Lavoro, Patrizio Bianchi, che in apertura dell’incontro ha ricordato Bruno Papignani, il sindacalista recentemente scomparso che fin dall’inizio e in questi anni aveva partecipato al percorso del Patto per il lavoro. Ricordo condiviso dal presidente Bonaccini e da tutti i presenti.

 

La situazione congiunturale sembra indicare segnali di fragilità sia a livello internazionale che nazionale- ha proseguito l’assessore – scenario che si riverbera già ora anche in Emilia-Romagna. Le previsioni sul Pil per i prossimi due anni parlano di una crescita contenuta, sebbene nella nostra regione superiore rispetto a quella media del Paese. L’Emilia-Romagna di oggi è però una regione più in salute e più competitiva dal punto di vista economico e sociale di quanto non fosse nel 2014, ma è chiaro che si rende davvero urgente una vera politica industriale nazionale, che sia di stimolo agli investimenti.

Patto il lavoro, i numeri
Il PIL regionale si è riportato ai livelli del 2008, con una crescita rispetto al 2014 del 5,5% del PIL reale e del 5,4% del PIL pro-capite, con due dati che testimoniano la ripartenza regionale: +18% gli investimenti fissi delle imprese negli ultimi quattro anni, dopo il -32,5% del periodo 2018-2014, e l’aumento dei consumi delle famiglie (+6,7% rispetto al 2014), che hanno superato il livello del periodo pre-crisi.
È aumentato il livello di internazionalizzazione del sistema produttivo regionale: le esportazioni di beni e servizi hanno superato i 63 miliardi, sopravanzando il Veneto, ma l’Emilia-Romagna è davanti a tutte per il saldo della bilancia commerciale (27,1 miliardi), per il valore dell’export pro-capite (14.245 euro correnti) e per la quota di valore aggiunto industriale attivato dalle imprese esportatrici (pari al 73,5% del totale).

Bene anche il mercato del lavoro regionale: nel 2018 il numero di occupati ha superato la soglia di 2 milioni, in crescita del +4,9% (+94 mila occupati) rispetto al 2014, mentre il tasso di occupazione è salito al 69,6% (+3,3%), superato solo dal Trentino-Alto Adige (70,9%).

Il tasso di attività si conferma il più alto tra le regioni italiane, stimato al 74% nel 2018 (+1,6%). Il tasso di disoccupazione regionale è sceso dall’8,9% del primo trimestre 2015 al 6,1% del primo trimestre 2019, sotto solo a quello del Trentino Alto-Adige, e nella a media degli ultimi 12 mesi (aprile 2018-marzo 2019) il tasso regionale risulta in ulteriore ribasso, al 5,8%. Andamento positivo anche fra i giovani, il cui tasso di disoccupazione è sceso all’8,2% fra i ragazzi fino a 24 anni (-2,7%), un calo superiore ai 17 punti percentuali se i allarga la fascia d’età ai 34 anni (dal 34,9% del 2014 al 17,8% dell’anno scorso). Pressoché dimezzata la disoccupazione di lunga durata (oltre i 12 mesi), diminuita dal 4,1% al 2,4%.

Una crescita dell’occupazione trainata da una crescita delle posizioni di lavoro dipendente e, tra queste, di quelle a tempo indeterminato e di apprendistato, in parte da intendere come nuova occupazione e in parte come sostituzione e trasformazione di contratti a termine.

Dalla fine del 2014 a marzo 2019, sono state quasi 109 mila le posizioni di lavoro a tempo indeterminato e di apprendistato create in regione, a fronte di 42 mila a tempo determinato e di lavoro somministrato.

Ridotta la quota di abbandoni scolastici prematuri (cioè quelli dei ragazzi tra i 18 e 24 anni che lasciano i percorsi di istruzione e formazione professionale), calati di 2,2 punti percentuali rispetto al 2014, e soprattutto quella dei giovani NEET, coloro tra i 15-34 anni non più inseriti in un percorso scolastico/formativo ma neppure impegnati in un’attività lavorativa, scesa al 15,8% nel 2018: -4% dal 2014.

Dall’altra è cresciuto il tasso di scolarizzazione superiore (ragazzi dai 20 ai 24 anni che ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore) passato dall’81,5% del 2014 all’85% del 2018, e la quota di giovani di 30-34 anni con titolo di laurea o post laurea, aumentata dal 25,1% al 34,4%.

Il sistema regionale ha dimostrato di essere resiliente anche per quanto riguarda l’equità e la povertà. La povertà relativa si mantiene su livelli contenuti: nel 2018, in Emilia-Romagna vivono in condizioni di povertà relativa il 5,4% del totale delle famiglie residenti in regione, a fronte dell’11,8% dell’intero territorio nazionale, confermandosi tra le regioni italiane con incidenza di povertà più contenuta, dopo Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige.

Fonte: Regione Emilia Romagna 

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